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martedì, Marzo 28, 2023

Un ricordo di Federico Caffè

Un ricordo di Federico Caffè

Fu uno dei principali studiosi italiani delle teorie keynesiane, docente di grande spessore intellettuale e maestro dei più autorevoli economisti italiani del XX secolo. Di seguito il ritratto che di Caffè ha fatto Fulvio Tranquilli, nostro socio, che ne fu allievo

L’economista e i suoi scritti
Federico Caffè (1914-1987) può essere considerato se non il principale, uno dei principali diffusori in Italia delle teorie dell’economista britannico John Maynard Keynes. Nel corso dei suoi studi si è occupato tanto di politiche macroeconomiche che di economia del benessere. Al centro delle sue riflessioni economiche ci fu sempre la necessità di assicurare elevati livelli di occupazione e di protezione sociale, soprattutto per i ceti più deboli.
Infatti, Caffè lavorò sempre sui temi della politica economica e del welfare, con particolare attenzione agli aspetti sociali e alla distribuzione dei redditi.
Il suo testo universitario Lezioni di politica economica è rappresentativo del suo pensiero. In esso Caffè definì la politica economica in questi termini: “La politica economica è quella parte della scienza economica che usa le conoscenze dell’analisi teorica come guida per l’azione pratica”.
Dalla metà degli anni ‘70 Caffè, preoccupato dall’affievolirsi della vocazione riformatrice della sinistra italiana, diresse i propri sforzi teorici verso la definizione degli strumenti necessari per il controllo democratico dell’economia. Infatti, in un articolo del 1982 sottolineò l’importanza di arrivare a una separazione fra gestione dell’intermediazione finanziaria, affidata ai poteri pubblici, e attività produttiva, nelle mani di un mercato in condizioni concorrenziali, denunciando inoltre i poteri degli operatori borsistici e il lassismo nei confronti dei controlli sui movimenti di capitale.
Un altro aspetto rilevante su cui Caffè ritornò più volte nei suoi studi fu l’importanza della scala mobile, cioè il meccanismo di indicizzazione dei salari, introdotto nel 1975 con un accordo tra la CGIL e Confindustria, che permetteva di adeguare le retribuzioni all’inflazione corrente.
La maggiore accusa rivolta alla scala mobile da suoi detrattori era quella di promuovere l’inflazione, dato che gli aumenti erano corrisposti di volta in volta non in base all’inflazione reale, ma in base a quella attesa. In tal modo gli aumenti di potere d’acquisto correlati agli aumenti salariali risultavano esser maggiori rispetto alle diminuzioni di potere d’acquisto causati dall’inflazione reale. Per Caffè, al contrario, l’effetto del meccanismo d’indicizzazione sull’inflazione era irrisoria, essendo gli aumenti di quest’ultima causati in misura maggiore dall’aumento dei prezzi amministrati e delle tariffe pubbliche.
Di straordinaria attualità appaiono le posizioni espresse da Caffè, nel 1979, in occasione dell’ingresso della lira nello SME, Sistema Monetario Europeo. La sua contrarietà a tale scelta derivava dalla necessità di non privarsi di strumenti di politica economica senza averli sostituiti con altri. Uno di questi strumenti è la possibilità di svalutare e la sua abolizione si giustifica solo in una Europa pienamente integrata sul piano politico ed economico: l’Europa monetaria deve essere il culmine e non l’inizio del processo di integrazione.


Ricordi di un allievo
Di Federico Caffè è difficile dimenticare la seduzione intellettuale del suo insegnamento. L’intelligenza e la preparazione sono stati i suoi caratteri distintivi che gli hanno consentito l’acquisizione della stima e della popolarità degli studenti di un intero quarantennio.
Si è dedicato alla ricerca e all’insegnamento con grande impegno fino a farlo diventare il connotato di una scelta esclusiva e totale.
Come non ricordare le lezioni di Politica Economica e Finanziaria. Tutti ad ascoltare, con quasi devoto silenzio, le parole chiare, appropriate e pacate di Caffè. Sempre puntuale e preciso, sempre elegante, sobrio e gentile con i suoi abiti (per lo più doppio petto di color bleu scuro). Durante la lezione una sola voce raffinata: quella di Caffè, probabilmente in piedi, non seduto (la sua altezza era prossima a 150cm), che parlava ai suoi allievi (a volte formando con le mani delle piccole palline di carta come origami) distribuendo perle di saggezza.
Come non ricordare la biblioteca dell’Istituto di Politica Economica al VI piano di Via del Castro Laurenziano. In quella stanza “presieduta” dalla signora Firmani (segretaria fedele del professor Caffè) si rispettava la regola del silenzio: tutti a capo chinato e con la dovuta concentrazione.
A volte, mentre si studiava per la preparazione della tesi, qualcuno ti bussava alla spalla: era il professor Caffè che ti invitava nella sua stanza (l’ultima a sinistra in fondo al corridoio dell’Istituto) per consegnare dei ritagli di riviste e/o di articoli interessanti e funzionali al completamento ed all’aggiornamento della Tesi di laurea. Alcuni giorni si rimaneva addirittura sino al tramonto ed oltre, e chi era l’ultimo ad uscire? Naturalmente il professor Federico Caffè.
In conclusione, Caffè si è caratterizzato per le sue doti intellettuali, per le qualità di accademico puro, per i suoi connotati caratteriali di persona seria, riservata e generosa, e con un alto profilo umano anche se era presente talvolta una accentuata solitudine esistenziale. Una solitudine però non sofferta, ma vissuta serenamente nel suo stile di vita.

Fulvio Tranquilli

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