Affrontare i social in modo consapevole

A colloquio con Luca La Mesa, social media strategist:
“Per minimizzare eventuali rischi consiglio di ragionare estremizzando un concetto semplice: qualunque cosa scrivete dentro i social media rimarrà per sempre. Anche se voi lo avrete cancellato è possibile che qualcuno abbia fatto una foto del vostro post”
Nell’intervista doppia promossa dal Laboratorio, mi ha colpito il passaggio nel quale lei ha detto “non è obbligatorio essere sui social”. Eppure oggi, soprattutto per i giovanissimi, sembra diventato uno status sociale, se non sei sui social ti senti tagliato fuori. È così?
Sicuramente essere sui social media offre una impareggiabile possibilità di rimanere in contatto con tante persone a distanza. Nascevano proprio per “connettere” le persone per “condividere” dei contenuti. Bisogna però farne un uso consapevole e utilizzarli per averne reali benefici. Se, al contrario, diventano i social media ad “utilizzare” noi, abituandoci a passarci sopra troppo tempo, diventa controproducente. Come sempre la tecnologia è solo tecnologia, tutto dipende da come la vogliamo utilizzare. La frase “non è obbligatorio essere sui social” è ancora più vera quando è riferita alle aziende. Noi gestiamo, come agenzia di comunicazione, tante importanti realtà sui social media e abbiamo risultati molto migliori rispetto ad altri canali di comunicazione, ma bisogna studiare una seria strategia per assicurarsi che sia il canale adatto e che si abbiano le giuste risorse per gestirlo professionalmente. Altrimenti è meglio non essere presenti.
È importante conoscere bene le dinamiche che regolano i social network. Quali consigli si sentirebbe di dare ad una ragazza o a un ragazzo che li approcciano per la prima volta? A cosa bisogna prestare attenzione?
Per minimizzare eventuali rischi consiglio di ragionare estremizzando un concetto semplice: qualunque cosa scrivete dentro i social media rimarrà per sempre. Anche se voi lo avrete cancellato è possibile che qualcuno abbia fatto una foto (screenshot) del vostro post, del vostro commento o di un momento di sfogo di cui poco dopo potreste esservi pentiti. Nei miei corsi ho raccolto tanti esempi eclatanti di personaggi pubblici che fino a poco prima non avevano grande visibilità e che pubblicavano sui social media contenuti di cui oggi non vanno fieri. E si salvano in pochi.

Può farci qualche esempio?
Basta vedere cosa diceva l’ex portiere del Milan Donnarumma quando ancora non era così famoso e le foto, in cui era molto poco vestita (non 100% nuda) e con tanto di gestacci, che si possono ancora trovare in rete cercando la più famosa influencer al mondo: Chiara Ferragni. Dovremmo avere lo stesso approccio anche fuori dai social media quando si tratta di contenuti delicati. Spesso ai ragazzi/e dei licei e delle università dico che non devono creare con il loro smartphone nessun contenuto, in particolare intimo, che non siano disposti a rendere pubblico. Tecnicamente i nostri telefoni sono vulnerabili, spesso per colpa nostra, e dobbiamo avere molta prudenza per minimizzare i rischi di questi canali e della tecnologia in generale. È un fatto di buon senso.

I social network hanno avuto un impatto importante sul settore dell’informazione, modificandolo, soprattutto per quanto riguarda la percezione e i tempi di fruizione delle notizie. Sempre più spesso non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che è virale. Cosa ne pensa?
Penso che è pericolosissimo ma che nel tempo migliorerà. Ogni volta che condividiamo un contenuto sui social media associamo ad esso la nostra credibilità. Se condividiamo dunque un video virale, ma che non rappresenta la realtà, avremo contribuito a fare disinformazione e con essa avremo danneggiato la nostra reputazione agli occhi di chi ci segue. Per fortuna la situazione migliorerà, perché oggi è facile scoprire se un contenuto è finto (basta fare una rapida ricerca su Google), ma troppa gente è pigra e non si pone neanche il dubbio a riguardo. Spesso, perché quel video rappresenta proprio ciò che loro pensano e continuano così ad estremizzarsi senza realmente capire che si stanno nutrendo di notizie finte e le stanno a loro volta facendo crescere. È una battaglia culturale. Da questo punto di vista la strada è ancora lunga ma sono ottimista.


I social continuano ad essere terreno fertile per chi vuole diffondere fake news. Come ci si può difendere?
Dedicando qualche secondo alla verifica delle fonti. Leggendo gli articoli senza fermarsi al titolo. Chiedendo consiglio e conferma a chi è più esperto di noi su un tema specifico. Cercando spesso il confronto serio con chi non la pensa come noi per capire se la notizia è vera/finta o, come spesso accade, la verità è nel mezzo ma viene strumentalizzata per farla diventare più virale.
Nella sua esperienza professionale, quante volte le è capitato di notare differenze nette tra l’identità reale e quella digitale di uno stesso soggetto?
Succedeva di più in passato. I social media sono evoluti e oggi molti contenuti sono veramente “live” e senza filtri per cui c’è molta meno possibilità di fingersi chi non si è. È lo stesso principio legato alle bugie. Chi le dice regolarmente ha una vita molto più complessa di chi è sincero perché deve ricordarsi ogni volta cosa ha detto a diverse persone. Avere un’identità digitale allineata a quella reale offre vantaggi molto più grandi, ci rende più credibili e ci offre una vita più semplice da gestire.
Il Laboratorio Giovani Soci, dopo l’evento online al quale ha partecipato, ne ha promosso un altro sul cyberbullismo. Anche in questo caso, le piattaforme social possono trasformarsi rapidamente da gioco ad incubo per soggetti fragili…
Purtroppo, si. Il tema è che non si pensa alle conseguenze delle nostre azioni. Oggi è molto più facile avere atteggiamenti da bullo e farli vedere in pochi minuti a migliaia di persone. Questo accresce ulteriormente le sofferenze delle vittime perché sono enormemente più esposte che in passato. Allo stesso tempo è più facile individuare i bulli per prendere i provvedimenti del caso. Il vero tema andrebbe affrontato all’origine e alla fine. All’origine agendo culturalmente per mostrare le conseguenze che in passato hanno avuto determinati atteggiamenti (spesso un bullo non ci pensa e poi si pente se la cosa sfugge di mano) e alla fine cercando di avere dei provvedimenti che realmente vadano a fare giustizia e a ri-educare chi si è comportato male.
Piergiorgio Liberati
