Tra natura e città
Le sue origini risalgono addirittura al III secolo dopo Cristo. Poi, nel corso dei millenni, la Basilica è diventata depositaria di numerosi e stupefacenti capolavori. Vediamo quali


Uno squarcio di paesaggio nella Roma moderna. Così potrebbe essere definito uno dei più importanti cicli decorativi custodito all’interno della Basilica dei Santi Silvestro e Martino ai Monti e che tra poco scopriremo.
L’edificio, secondo la tradizione, fu costruito sui resti della casa di Equizio (titulus Equiti), presbitero di papa Silvestro I. In effetti, un edificio in laterizio databile al III secolo è presente nei sotterranei della chiesa odierna, di cui si consiglia caldamente la visita. Questi ambienti, forse nati come vani di servizio per le Terme di Traiano, furono in seguiti adibiti a scopi commerciali e solo alla fine furono risistemati come luogo di culto cristiano. La scelta di una simile postazione nella Roma imperiale si deve, forse, al fatto che il quartiere in cui sorgeva vedeva all’epoca un florilegio di religioni orientali di stampo pagano, contro cui quindi questa basilica si poneva come avamposto per la difesa della fede cristiana e l’evangelizzazione.


Tuttavia, la fondazione della chiesa soprastante si colloca all’inizio del VI secolo sotto il papa Simmaco, che destinò il titolo dapprima a San Martino di Tours e poi a San Silvestro, di cui era molto devoto. In età carolingia il pontefice Sergio II, oltre a ricostruire completamente l’edificio superiore servendosi perfino delle mura Serviane, promosse anche il mantenimento, il restauro e addirittura l’abbellimento degli ambienti ipogei. Ne restano tuttora frammenti di decorazione pittorica sulle volte del soffitto.
Dalla struttura del IX secolo di Sergio II si passa, come succede spesso per le antiche chiese romane, attraverso numerose ristrutturazioni che hanno finito per alterarla almeno in parte, come testimonia la facciata, eretta in pieno XVII secolo, assieme alla stretta scalea sulla retrostante piazza e alla torre campanaria a vela sopra l’abside.

La chiesa si segnala, come si diceva in apertura, per i celebri affreschi di paesaggio realizzati alla metà del Seicento dal pittore Gaspard Dughet, detto il Possino dal nome del più famoso cognato e maestro, il normanno Nicolas Poussin. L’artista fu coinvolto da Giovanni Antonio Filippini, priore dell’ordine carmelitano- ordine a cui l’edificio era stato assegnato dal Duecento-, in un’équipe il cui obiettivo era la ristrutturazione generale della vecchia basilica paleocristiana. Al Dughet, vero e proprio campione di affreschi di genere paesaggistico, fu chiesto di dipingere scene di santi ed eremiti (Storie della vita dei profeti Elia ed Eliseo) che egli inserì in ambientazioni di grande respiro, dove l’elemento paesistico e arboreo predomina sui personaggi, che si ritrovano allora inglobati in una natura quasi primordiale. L’intervento del Dughet finì per segnare in modo imprescindibile l’evoluzione della pittura barocca.

Anche Pietro Testa, detto il Lucchesino per via della sua città d’origine, collaborò ai progetti del Filippini, realizzando la pala con La Visione di Sant’Angelo Carmelitano, la più grande opera a carattere religioso dipinta dal pittore e purtroppo scuritasi col tempo. L’episodio ha come protagonista uno dei padri più venerati dell’ordine carmelitano, vissuto tra il XII e il XIII secolo: egli, disteso in primo piano in basso a sinistra e di fronte a un angelo, riceve l’apparizione divina del Cristo che balza fuori dall’oscurità della notte con il suo corpo nerboruto. In alto, nel buio del firmamento, si stagliano in controluce delle figure femminili che stanno preparando il pasto per il santo eremita.

Si notino anche due splendide e rinomate prospettive dipinte in cui sono visibili gli interni delle basiliche di San Pietro e di San Giovanni in Laterano. Tramite queste è possibile avere un’idea di come dovessero apparire le suddette costruzioni prima delle molteplici aggiunte e dei rifacimenti che nel corso dei secoli hanno consegnato loro il magnifico aspetto con cui le conosciamo oggi. Si guardi, a esempio, l’enorme pigna, descritta persino da Dante, che appare in basso nell’affresco della chiesa vaticana e attualmente è nel Cortile della pigna dei Musei Vaticani, o all’infilata di colonne di quella lateranense che non reca le tracce delle risistemazioni borrominiane o le grandi sculture degli Apostoli che dal Settecento ne decorano la navata principale.
Tra i capolavori, numerosi e stupefacenti, si evidenzia in conclusione il Battesimo del sultano di Damasco per opera di San Cirillo, ispirato a un episodio leggendario, dipinto da Jan Miel, pittore spesso associato esclusivamente a scenette di genere e bambocciate.
Francesco Rotatori
