Movimento e fuoco nel centro di Roma
Con la spirale a vortice di fiamma che svetta sull’alta lanterna, la chiesa barocca di Sant’Ivo alla Sapienza ridisegna in modo caratteristico lo skyline di Roma

degli avvocati, perora la causa dei più poveri,
pala d’altare
Quando l’architetto Francesco Borromini (1599-1667), ai tempi del pontificato Barberini, fu chiamato a progettarla, aveva davanti a sé un arduo compito: doveva infatti inserire il gioiello architettonico all’interno di una struttura già completata. Il Complesso della Sapienza, ovvero dello Studium Urbis Sapientiae, cioè la prima Università della capitale pontificia, presentava le caratteristiche arcate che tuttora ne modulano il cortile, realizzato da Giacomo Della Porta alla fine del Cinquecento, sotto papa Sisto V Peretti Montalto.
Ai piani superiori del Complesso è ospitato l’Archivio di Stato di Roma, che raccoglie in questa sede alcuni dei documenti più importanti della storia della città (e non solo), accessibili a studiosi e interessati: su tutti, basti citare il faldone contenente gli atti del processo indetto dal pittore Giovanni Baglione nel 1603 contro Caravaggio, Orazio Gentileschi e Onorio Longhi.
Nonostante la difficile prospettiva di dover armonizzare una grande chiesa con le strutture preesistenti, Borromini riuscì a superare se stesso: realizzò, di fatto, il simbolo per eccellenza e a livello mondiale dell’architettura del Seicento.
Sant’Ivo ha una pianta singolare, nata dalla compenetrazione di triangolo rovesciato e cerchio, e volta a simulare la forma di un’ape, rimando allo stemma araldico della famiglia Barberini. La chiesa si giostra, quindi, su di un nucleo spaziale esagonale e numerosi sono i possibili riferimenti alla numerologia sacra: il numero 3, cui allude l’originario triangolo compositivo, si riferisce a esempio alla Trinità. Ciò a cui mira principalmente l’architettura è costruire uno spazio che non sia fermo, ma si trasformi continuamente, si muova e dia una visione, seppur in miniatura, dell’energia del cosmo e dell’infinità dello spazio. E così, l’interno prevede che le pareti riproducano l’esatta pianta e, come in un brano polifonico, aiutino nella delineazione di un effetto di continuità: se si cerca un punto fermo percorrendo con lo sguardo il profilo della trabeazione, non lo si troverà, e i nostri occhi continueranno a seguire il tracciato, quasi correndo su di un circuito che si ripete all’infinito.
Sulla parete d’altare, la pala con Sant’Ivo, patrono degli avvocati e qui rappresentato mentre arringa di fronte al popolo e ai più poveri, è opera della bottega di Pietro da Cortona. In fondo, gli avvocati concistoriali, dal momento che avevano patrocinato la costruzione dell’edificio, avevano ragione nel pretendere che questo venisse dedicato al loro santo protettore, Ivo Hélory.

Ma ciò che colpirà di più gli osservatori o i fedeli (nella chiesa dal 1926 si celebra nuovamente messa secondo orari predeterminati) è la visione interna della cupola, dove si potrà notare la stessa forma caratteristica della pianta. Qui fiammelle e cherubini, simbolo odierno dell’Università Sapienza di Roma, alludono alla discesa dello Spirito Santo e ai suoi doni. Un tema a carattere pentecostale, memore dell’episodio in cui la Sapienza dal Cielo arriva alla Terra sotto forma di lingue di fuoco. Quest’ultime donano agli Apostoli la capacità di parlare in tutte le lingue del mondo e la proposta di missione di evangelizzazione globale.

Esternamente, la struttura si caratterizza per un aspetto alquanto bizzarro. Sopra il lato curvilineo del cortile cinquecentesco si innalza un alto tiburio, che nasconde la cupola. Ma qua Borromini pare aggiungere ancora una novità: tra tiburio e lanterna con terminazione a spirale inserisce una serie di gradinate, che rimandano a edifici a carattere orientale, come le pagode e le ziggurat. Alludono forse a una torre, quella di Babele, causa degli innumerevoli idiomi del mondo? Piuttosto, sarebbe corretto dire che se l’esempio babilonese era servito a dividere, l’obiettivo ideologico della creazione borrominiana ha un fine nell’unità: Sant’Ivo diviene così torre pentecostale, si fa portatrice dello Spirito Santo dall’Alto al Basso, dall’Alto dei Cieli al Basso dove all’epoca erano gli studenti universitari, il cui compito, una volta laureati, sarebbe stato quello di professare la verità nelle varie lingue. Come gli Apostoli nell’episodio già rammentato. E tuttavia il percorso di conoscenza potrebbe anche andare dal Basso verso l’Alto, ossia rappresentare l’auspicio che i giovani allievi potessero un giorno ascendere alla vera natura delle cose.
Comunque la si veda, la corona fiammeggiante che troneggia scultorea sulla lanterna di Sant’Ivo rammenta costantemente il potere della sapienza, unica chiave di volta per comprendere il creato, conoscere il passato e dischiudere il futuro.
Francesco Rotatori