I capolavori senza tempo di una Chiesa sempre moderna
La Basilica dei Santi Dodici Apostoli, vicinissima a Piazza Venezia e all’imbocco di via del Corso, merita una visita approfondita.
Scopriamo perché
Può capitare di passarle spesso di fronte se ci si inoltra nel centro storico di Roma: la Basilica dei Santi Dodici Apostoli, vicinissima a Piazza Venezia e all’imbocco di via del Corso, pare possa considerarsi l’unica delle antiche chiese dell’Urbe a non essere stata edificata su costruzioni precedenti di età romana. Fu, però, più volte ricostruita: sotto Giulio I, nel IV secolo, era nota come Basilica Iulia; nel VI, dopo aver ottenuto il nuovo titolo di dedicazione agli apostoli, venne ricostruita sui resti della precedente; nel 1348 l’ampia costruzione fu distrutta da un terremoto; ancora nel 1475 venne restaurata e modificata; infine nel Settecento la chiesa venne completamente rimaneggiata, anche se gli ultimi lavori si protrassero fino all’Ottocento, facendole assumere la conformazione attuale, con la facciata di Giuseppe Valadier del 1827.


Sull’altare spicca la più grande pala d’altare di Roma, opera di Domenico Maria Muratori, il Martirio dei Santi Filippo e Giacomo (entro il 1724), le cui spoglie furono traslate qui da Pelagio I nel 560 e, dalla seconda metà dell’Ottocento, sono custodite nella cripta.
Della decorazione quattrocentesca dell’abside, un’Ascensione di Cristo affidata a Melozzo da Forlì (1480 ca), non rimane che qualche frammento, suddiviso tra il Palazzo del Quirinale e i Musei Vaticani. Si tratta di Gesù, accolto in cielo da una nuvola di putti, degli Apostoli e dei delicati angeli che con la loro melodia accompagnano la salita al Paradiso del Redentore.

La volta della navata è occupata dal Cristo in gloria con apostoli e santi francescani (1707), testimonianza dell’ultimo stadio della pittura di Giovanni Battista Gaulli detto Baciccio o Baciccia. Se più di vent’anni prima egli era stato il braccio destro del Bernini e con il Trionfo del Nome di Gesù nella chiesa romana dei Gesuiti aveva realizzato uno dei massimi emblemi barocchi, nel capolavoro dei Santi Apostoli l’apoteosi dell’ordine francescano comporta un compromesso tra le premesse trionfalistiche del secolo appena chiusosi e la nuova misura del classicismo d’Arcadia.
L’edificio ospita due celebri opere dello scultore Antonio Canova.
A un primo momento risale il Monumento funerario di papa Clemente XIV (completato nel 1787), commissionato al giovane artista dopo il suo esordio romano con il Teseo sul Minotauro oggi al Victoria & Albert Museum di Londra.

Pur guardando alla scultura berniniana, Antonio rivoluzionò, tuttavia, il vecchio schema secondo uno stile tipicamente tragico e con una scansione più sobria degli elementi, bandendo ogni eccesso decorativo. Pensò a una struttura piramidale, al vertice della quale pose il ritratto del Vicario di Cristo sul trono, il volto severo, il gesto più di ammonizione che di benedizione verso la folla, mentre collocò, dolenti e piangenti, le personificazioni della Temperanza in alto a sinistra, riversa sul catafalco, e dell’Umiltà o Mansuetudine alla destra del sarcofago pontificale. Al di sotto, l’accesso alla sagrestia venne trasformato in un allegorico trapasso per l’aldilà. L’ombra che taglia la porta divenne da allora il diaframma visivo e concettuale tra il mondo dei fedeli o dei vivi e la dimensione eterna del non ritorno. L’opera mostra in nuce quali saranno i futuri sviluppi della scultura canoviana, a partire dal successivo Monumento funebre di papa Clemente XIII, innalzato nella basilica vaticana di San Pietro.

A una fase di molto posteriore appartiene, invece, la Stele funeraria dedicata all’incisore Giovanni Volpato (1804-1807 ca). Amico e mediatore di Canova per il monumento papale appena descritto, addirittura anche suo tanto sperato – invano purtroppo- suocero, il Volpato è raffigurato nel busto a rilievo, di profilo e collocato a destra su un tronco di colonna. Di fronte, è seduta una donna vestita con una tunica alla greca: porta il capo chino e si asciuga il volto con la mano sinistra. Accanto a lei, una semplice parola, appena incisa, come se fosse quasi sussurrata dalla giovane, rivela il grado di coinvolgimento emotivo da parte di Antonio nella realizzazione dell’opera: “AMICITIA”. In fondo, come riporta l’iscrizione al di sotto del busto di Volpato, Canova, a sancire il legame che ormai li univa, decise di realizzare a proprie spese il capolavoro. Quest’ultimo riprende le caratteristiche formali delle steli classiche diffuse anticamente nella zona dell’Attica, divenute funzionali modelli per un fortunato filone artistico neoclassico.
La visita non si potrà dire completa senza una capatina alla Cappella del cardinale Bessarione: scoperta casualmente, nel corso di una campagna di lavori nel 1959, presenta affreschi del XV secolo di Antoniazzo Romano e bottega, coadiuvato da Melozzo da Forlì e Lorenzo da Viterbo, tra cui le Storie di San Michele Arcangelo. Il programma iconografico potrebbe rimandare al progetto di una crociata contro i Turchi.
Francesco Rotatori